Questo piccolo monumento gardesano è situato sulla strada che da
Limone del Garda porta a Voltino di Tremosine, a un paio di
chilometri dal centro, fra gli ulivi del declivio collinare.
La chiesa di S. Pietro in Oliveto è citata per la prima volta, tra
le cappelle dipendenti dalla pieve di Tremosine, nella bolla di papa
Urbano III dell’anno 1187.
Nel 1532 la comunità cattolica lacustre di Limone si separava da
Tremosine per costituirsi in parrocchia autonoma, con un proprio
nuovo edificio ecclesiastico, lasciando la piccola cappella
campestre sotto la giurisdizione della chiesa plebana di Tremosine
almeno fino al 1578. Nel 1580, durante una visita pastorale, il
presule Carlo Borromeo definiva il complesso religioso di S. Pietro
come “ecclesia campestri set vetus”. Con gli anni, e per
l’ubicazione molto decentrata rispetto ai centri abitati di
Tremosine e di Limone, la chiesa andò progressivamente perdendo le
sue funzioni di centro religioso primario, patendo di una
frequentazione saltuaria e di parziale abbandono, anche se, nel
corso dei secoli post-medievali, l’edificio non mancò di essere
soggetto a interventi di manutenzione e di restauro.
Il piccolo tempio è generalmente visitabile solo all’esterno. Si può
accedere all’interno solo in rare e particolari occasioni.
L’impressione globale odierna è quella di trovarsi di fronte a un
complesso architettonico di modeste dimensioni e rustica fattura,
immerso tra gli ulivi, formato dalla chiesa, con pianta a navata
unica e profonda abside quadrata, alla quale, secondo gli studiosi,
si sono aggiunti nei vari periodi storici (segno comunque di
continuità nella frequentazione del sito), il campanile tronco sul
lato nord (genericamente ascritto al periodo post-romanico - XIII
secolo), la sacrestia, alla congiunzione tra la navata e l’abside
(cronologicamente indicata come del XIV secolo), e il portico, che
sembrerebbe la costruzione più recente, del XVI-XVII secolo, oltre
al rifacimento della copertura con volte, che comportò il sopralzo
di tutto l’edificio ecclesiale. Le murature sono totalmente
ricoperte da intonaco di recente stesura. La facciata a ovest è a
spioventi semplici, con portale rifatto, sormontato da un finestrone
rettangolare, pure opera post-medievale (vedi foto facciata).
Nonostante non manchino studi e rilevamenti da parte di studiosi
contemporanei, rimane opera ardua individuare negli attuali assetti
architettonici uno spunto per la datazione certa di questo piccolo
complesso religioso.
Vi sono però parecchi indizi, suffragati anche da recenti indagini
archeologiche, che rimandano le origini di questa chiesa all’alto
medioevo; soprattutto alcuni reperti scultorei, i più,
disgraziatamente, andati dispersi (restano solamente alcune
fotografie dei primi decenni del XX secolo), come i resti di due
plutei e le ghiere traforate che, agli inizi del XX secolo, erano
ancora inserite nelle due finestre del laterale sud, o ancora
visibili, come l’acquasantiera murata all’interno dell’edificio,
sempre nella parete sud, e la composizione della copertura, che
conserva tuttora in opera tegole piane di epoca romana.
La chiesa è la parte più antica del complesso religioso di S. Pietro
e, se anche l’intonaco ricopre quasi interamente le murature, un più
attento esame permette di individuare almeno due diverse fasi
edilizie, meglio rilevabili nella parete settentrionale rimasta
scoperta dall’aggiunta del campanile e della sacrestia, e nel tratto
di abside quadrangolare sempre nel muro nord. In questi tratti
perimetrali, la parte più antica (corrispondente alle sezioni
murarie basse), è realizzata con piccoli ciottoli posti in opera
piuttosto disordinatamente in abbondante malta, coperta poi da un
intonaco irregolare di calce tirato a cazzuola. Ad un certo livello
in altezza, la muratura presenta disomogeneità costruttive:
l’intonaco segue quello che doveva essere lo spiovente del tetto, a
un livello più basso rispetto all’attuale. Le stesse caratteristiche
edificatorie si ritrovano anche nelle murature dell’abside, con la
sopraelevazione in aggetto rispetto alle parti basse. Gli studiosi
imputano questo dislivello ai lavori intercorsi in epoca
tardo-medievale, quando si rifecero le coperture, sostituendo quella
originaria con una a volte (all’interno, gli archi delle volte
s’innestano direttamente sui muri laterali, sovrapponendosi agli
affreschi). E’ probabile che questo intervento abbia modificato
anche le aperture; originale potrebbe essere la monofora, ora
murata, al centro dell’abside: a fatica se ne percepiscono i
contorni, per la pesante intonacatura che ricopre quasi tutte le
parti esterne dell’edificio, ma è ancora individuabile a sinistra
dei resti dell’affresco di S. Cristoforo, con uno spigolo, quello
destro, che conserva resti di affresco verso lo strombo.
All’interno, al centro dell’abside, è invece molto evidente la
recente muratura che ha occluso la finestra (l’affresco della
crocifissione di epoca rinascimentale ne rispettava ancora i
contorni: le diverse misure, maggiori all’interno che all’esterno,
indicano l’ampiezza e la profondità dello strombo). Come già
osservato all’esterno, anche all’interno si conservano i resti di
un’altra apertura, che dal lato sud dell’abside dava sull’area del
portico, posta sotto l’attuale finestra; anche questa doveva
probabilmente essere una delle aperture antiche. Le due finestre che
si aprono adesso sul fianco longitudinale sud della navata, secondo
gli studiosi, mancano dell’antica decorazione in pietra traforata.
In pratica, la chiesa tardo-medievale andò a innestarsi sui
perimetrali di un edificio preesistente, del quale sono state
utilizzate le parti basse, mentre si è provveduto al completo
rifacimento delle parti alte.
Per poter meglio conoscere e interpretare l’architettura di questi
piccoli edifici secondari di origine così antica, è necessaria
l’analisi degli storici dell’arte che puntualizzano, soprattutto per
merito dei resti scultorei sopravvissuti, come l’acquasantiera
(vedi foto acquasantiera), o perduti, come i frammenti di
pluteo, ma anche per la planimetria della chiesa di S. Pietro in
Uliveto (vedi foto pianta), una cronologia altomedievale
oscillante tra il IX e il X secolo; essa, costituita da un edificio
con pianta a navata unica e abside rettangolare, ricorda piante in
uso ancora nel VII secolo e presenti nell’area alpina e prealpina
quali il S. Pietro a Stabio (con sepoltura di VII secolo), il S.
Martino a Trezzo d’Adda, (fondazione pure di VII secolo), e altre,
sempre di area lombarda, oltre che a modelli di VIII e IX secolo
come la chiesa di S. Maria alla Novalesa o, più vicina, la chiesa di
S. Eufemia di Nigoline a Cortefranca (BS).
Il portico (vedi foto portico), aperto su tre lati, con
arconi a fungo a est a sud, ha le murature parzialmente
intonacate, dove si conservano varie e curiose iscrizioni incise dei
secoli dal XVI al XVIII e facenti riferimento a carestie o episodi
avvenuti localmente e per questo molto interessanti sotto l’aspetto
antropologico (in merito si consultino le ricerche del prof. Fava).
(Nota: nel muro laterale sud dell’abside era presente un’apertura,
ora murata, che dava proprio sul portico, al di sotto dei resti di
un arcone, posto più in basso rispetto all’odierna tettoia che
ricopre il portico).
Preliminare di relazione archeologica
Ai primi di luglio del 2004, per
operare una bonifica dalle infiltrazioni di umidità che stavano
compromettendo alcune strutture dell’edificio, è stato tolto il
pavimento in opera dal 1920. Poco sotto è stato trovato un pavimento
in malta probabilmente del IX secolo. Questo livello è incompleto ed
è stato intaccato dall’apertura di due buche in prossimità del
presbiterio (ancora s’ignorano i fini di queste escavazioni). Poco
prima dell’area presbiteriale, questo piano in malta presenta una
canaletta, dove si innestava probabilmente un cancello presbiteriale.
E’ stato rilevato che i muri perimetrali non hanno fondazioni
profonde, da ciò si dovrebbe dedurre che il S. Pietro potesse essere
una chiesa del tipo cosiddetto seminterrato.
All’interno, sulla parete nord, si nota la rappresentazione di
un’Ultima Cena (vedi foto affresco), affresco del secolo XIV.
Nella zona absidale, sotto l’altare è stata trovata una pietra
monolitica di epoca romana che fungeva da base di un torchio di
vino. Il principio di scavo ha permesso di recuperare molti
frammenti ceramici (ancora da collocare cronologicamente) e un pezzo
di colonnina con basamento.
In esterno, gran parte del sagrato era adibito ad area cimiteriale,
visti gli abbondanti reperti ossei ritrovati a pochi centimetri di
profondità dal livello attuale di calpestio. Un particolare
interessante è offerto dal tratto di muro esterno all’edificio
ecclesiastico e in asse con il lato sud del portico, che, per
tecnica costruttiva, disposizione e taglio delle pietre e per il
tipo di malta, indica una cronologia medievale d’epoca romanica
(dell’altezza di un paio di metri degradanti fino a poco meno di un
metro), lungo cui si conservano i resti di un ingresso o finestra
con soglia alta circa un metro dall’attuale livello di calpestio.